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YOGA, SILENZIO E DANZA - Antignano (LI) 3-6 Marzo 2011

GIOVEDI’ 3 MARZO
La distanza che separa La Spezia da Antignano, presso Livorno, si aggira attorno ai cento chilometri, ma la distanza tra il Marco partito da La Spezia, e quello tornato tre giorni dopo da Antignano, non è misurabile.
Tutti i weekend sono importanti, ma ogni weekend è importante a modo suo. A volte il luogo, particolarmente suggestivo, o il tempo atmosferico favorevole, e persino il più o meno buon cibo, possono predisporre a rendere quei tre giorni più significativi di altri, ma come abbiamo imparato in questi anni, ciò che veramente rende un weekend unico è la nostra volontà di accettarlo come compagno di strada, lasciando che faccia di noi ciò che vuole.
Le condizioni relative del Giovedì 3 Marzo non erano particolarmente degne di nota. Le nuvole se ne stavano pigre appiccicate ad un cielo che soltanto la forza dell’abitudine poteva definire azzurro. La villa ‘Alma pace’ d'altronde non aveva fatto alcuna promessa di eccezionalità né il nostro gruppo, che all’arrivo di tutti contava sedici anime, lo pretendeva. Dopo i saluti tra le due metà della mela, quella spezzina e quella milanese, e il solito rituale della sistemazione nelle camere dal vago sapore marinaresco, il gruppo unito si dirige nella “cappella” appena fuori la villa.
Ed eccolo qui il mio gruppo! Facce che vedo da più di quindici anni, e facce che vedo per la prima volta. E con ognuno di loro fiero di condividere qualcosa di straordinario, di sincero e, a volte lo confesso, mi capita di pensarlo, di strano.
Mi chiedo subito se sia o meno una fortuna avere così tanti ‘Guru’. Dopo Leda, la capostipite, sempre sia lodata per averci fatto conoscere lo Yoga, possiamo contare su Michele, la famosa guida alla milanese; su Pino, guida in salsa indospezzina; e sulla vice-vice-vice guida alla livornese Rosy. Ed oggi, ‘guest star’, abbiamo la presenza straordinaria di Giorgia, la guida alla vaticana, che per quanto non più ufficialmente del gruppo, non ha mai lasciato i nostri pensieri.
La candela viene accesa e posta al centro del cerchio di sedie e si parte. Eccoci a fare i conti con i nostri sé, a cantilenare nelle nostre menti un mantra che forse non abbiamo ancora ben chiaro cosa sia, ma che ci permette di immergerci nel nostro personale mare agitato per provare a raccogliere quelle perle che possano illuminare il nostro cammino interiore.
La cena è senza infamia e senza lode. Bé forse un poco di infamia a sentire Dida e Gianna se la meriterebbe ma, in fondo, dai! a letto affamati non ci andremo neanche questa volta.
Nella consueta riunione del dopo cena, Leda annuncia quella che sarà una mia scelta personale per rendere unico questo mio weekend: rimarrò in silenzio per i prossimi due giorni. Non so veramente da dove arrivi questa esigenza, ma, come ogni cosa nello yoga, mi ha chiamato e, come sempre o quasi cerco di fare, l’ho assecondata.
E’ vero che io amo il silenzio, e ne ho sempre percepito l’ energia e la particolare forza espressiva, ma non avevo mai pensato prima di trascorrere, volutamente, un periodo relativamente lungo nel silenzio; nel ‘mio’ silenzio. E’ anche vero che solo in una situazione come questa, dove sarò a contatto con persone che capiscono e rispettano questa mia scelta, avrei potuto provarci senza essere scambiato per uno psicopatico.
Non ho ben chiaro cosa mi aspetta.
E questo è molto bello.

VENERDI’ 4 MARZO
E’ una bella mattinata di sole. Mi avvio lentamente lungo la strada che costeggia il mare che ancora sonnecchia, pigro e ordinato. Sento in lontananza arrivare una preoccupazione: e se qualcuno mi rivolgesse la parola? Se mi trovassi costretto ad usarla? Sono in piedi da non più di mezz’ora, ancora non ho incontrato anima viva e già mi sento sul baratro della parola, spinto da chissà quali mani perfide giù dal burrone di un discorso invisibile.
Sento una fitta nel centro del petto. Mi fermo. Oddio e adesso che ho??
Ma niente!
Assolutamente niente.
Devo proprio essere in balia della parte idiota del mio cervello! Metto in moto l’altra parte e ristabilisco l’equilibrio. Ecco equilibrio! Respiro lento. Passo lento. Va meglio. Anche se la fitta al petto è ancora lì. Ed ho la prima percezione chiara. Il corpo segue il silenzio. Ho intenzione di subirlo? Il mio corpo subirà. E’ una sfida? Il mio corpo combatterà. Ne ho paura? Il mio corpo si arrenderà. Come sto prendendo questo silenzio? Non so rispondere, ma non devo rispondere. Devo solo andare avanti, un passo dietro l’altro, un attimo dietro l’altro. Un silenzio dietro l’altro.
Non devo pensare di essere prigioniero nella gabbia di questa mia scelta, anzi, devo sentirmi libero di aver scelto questa gabbia che in realtà non ha la rigidità e la visione limitata da sbarre d’acciaio, ma la flessibilità e l’ampiezza che accompagna qualsiasi nuova esperienza.
Mi siedo su uno scoglio. Ho il mare a meno di un metro. Devo imparare da lui, dall’antica sapienza del suo ondeggiare con garbo, dall’eleganza della sua profondità e dalla varietà dei suoi azzurri. L’aria frizzantina mi accarezza le guance. Guardo verso l’orizzonte ed abbraccio la vastità di questo momento. Caspita che bellezza!!

Rientro nella “cappelletta” per l’esercizio di mezza mattina. Ed ho il primo incontro con il gruppo. Sono tutti molto bravi nell’ignorami senza ignorarmi. Nessuno cede alla tentazione di un saluto ed io, ma del resto ne ero certo, provo un senso di protezione.

Dopo l’ora circa di meditazione sono già le 12 ed è il momento di provare l’ebbrezza di un pranzo a base di prima colazione. Il povero Michele diventa il bersaglio delle bonarie frecciate di Leda a questo esperimento. Personalmente non provo fastidio, ma devo riconoscere un certo imbarazzo nel pranzare con fette biscottate, burro, marmellata, succo d’arancio e yogurt. Ma possiamo stare tranquilli. Pare non sia prevista una merenda alle due del mattino, anche se si vocifera che ci sia una riunione tra i ‘guru’ per fissare l’ora dello spuntino di mezzanotte.

Il santuario di Montenero sorge su una collina a pochi chilometri da Livorno. Il santuario, che ha origini che risalgono addirittura al XIV° secolo, è dedicato alla Madonna ed è un luogo molto caro ai livornesi e quindi alla nostra Rosy. Imponente nella sua architettura barocca, ha come caratteristica principe quella di essere completamente ricoperto, nelle ampie sale che circondano il nucleo centrale della chiesa, dagli ex voto che i fedeli, nei corso dei secoli, hanno lasciato per la grazia ricevuta per sé o per i loro familiari. Nella discussione che seguirà, molti del gruppo hanno espresso la loro perplessità per un luogo in cui forse la spiritualità, che pure deve essere presente, rimane impigliata tra le pieghe di un ostentazione così marcata. Ed anche per me la testimonianza, seppur palpitante, di tante vite ed in periodi così lontani, ha destato più interesse che emozione. Ma se penso che dentro ogni immagine, ogni parola scritta, ogni indumento od oggetto esposto si è cristallizzata una fede potente e di certo autentica, e che ancora essa aleggia tra le colonne, i marmi, i muri, incurante delle naturali contraddizioni degli uomini e di chi è chiamato a guidarli, allora posso sentirmi in un certo modo più vicino a coloro che trovano conforto anche nella freddezza dell’esteriorità.
Mentre scendiamo di nuovo al mare, ed io guido immerso nel rispettoso e tenero silenzio tenuto dal mio equipaggio, mi abbandono allo sciame di pensieri e alla moltitudine di sensazioni che sto sperimentando. Le curve che si susseguono sembrano accompagnare la mia riflessione. E’ vero il silenzio può farti sentire solo, ma non è la solitudine dell’emarginato, somiglia piuttosto alla solitudine del patriarca, del saggio. E’ una solitudine che completa. Che unisce. Raramente mi sono sentito così vicino a chi mi sta vicino. E provo una pace sconfinata. Questo è un momento da ricordare!

Dopo cena la discussione verte sui vari modi di avvicinarsi a quella forma di infinito che molti esseri umani stanno ricercando. Io ascolto, ma il mio silenzio a volte prende il sopravvento, mi allontana un po’ dal centro del confronto; come il mantra durante l’esercizio, le parole di Giorgia, Marina, Valentina, Leda, che ha dato inizio alle danze prendendo di mira Giovanni, vanno e vengono, e si confondono con i miei pensieri, i miei non pensieri, le mie domande. Giunto ormai a sera non sento più la necessità della parola ma avverto comunque la massiccia gravezza di questa prima giornata silenziosa. Ne capisco l’importanza e sono sempre più convinto che la singolare esperienza che sto vivendo sia la fatica sana di un compito necessario. Proprio grazie alla musicalità delle parole degli altri, per contrasto, capisco che il silenzio è la culla per le parole.
Questa notte dormirò più sereno.

SABATO 5 MARZO
Un’altra bellissima giornata di sole. Ritorno sul mio scoglio a meditare, mentre alcuni del gruppo stanno sperimentando l’ hatha yoga in riva al mare. Il mio secondo ed ultimo giorno comincia decisamente meglio. Sono molto più rilassato, in qualche modo il silenzio è entrato dentro di me, non è più un prodotto da confezionare, semplicemente sta lì, mi guarda senza che io mi rivolga a lui pensando, “ma ‘sto qui che vuole?”
L’esercizio scivola leggero, come la colazione-pranzo. Dopo il riposo, Michele ci ha preparato una sorpresa.

Roberto sembra a malapena un ventenne. In realtà ha trentacinque anni e da quindici si dedica allo studio della danza sacra indiana. Un mondo vastissimo e di estrema difficoltà. Non tanto, come qualsiasi tipo di danza, per i movimenti in sé, che pure richiedono una precisione millimetrica dalla punta del piede all’ultima ruga del viso. Quanto per quello che quella stessa ruga e quello stesso piede devono esprimere. Ogni piccola posizione del dito, roteare dell’occhio o piegamento della gamba ha un significato preciso. Il danzatore indiano racconta una storia. Attraverso il corpo, srotola gli avvenimenti delle antiche saghe, storie di Dei e di uomini, ma soprattutto ne esprime i sentimenti, le paure, le gioie, le speranze. La danza sacra indiana è una preghiera svelata come favola, cosicché anche il più ignorante tra i contadini indiani possa sentirsi parte del meraviglioso gioco del mondo.
Roberto fa andare la musica e comincia a muoversi.
Ed accade il miracolo.
Non ha un costume appariscente, non ha trucco sul viso, niente gioielli o copricapo. Nessuna scenografia evocativa lo aiuta. Eppure ecco che prepotente appare Ganesh in tutta la sua possanza di dio elefante, ecco Shiva, il dio danzante, che sembra con la sua leggiadria irridere chiunque e qualunque cosa, ecco Brahma, il principio di tutto, Visnu, Parvati, sono tutti lì, davanti a noi. Le dita che cambiano disposizione nelle mani con una fluidità prodigiosa ed una grazia incantata, i piedi che ora sbattono violenti sul pavimento ora si appoggiano delicati sulle mattonelle come farfalle su un fiore. Le stelle rilucono sbarazzine, il sole sorge e tramonta in un fiato, il fiore del loto si schiude sotto i nostri occhi, proprio mentre Shiva scioglie i capelli e il danzatore, devoto, ringrazia i suoi dei e da questi viene benedetto. La mani giunte appoggiate al petto, un sorriso e la poesia si conclude.
Non credo ci sia mai stato applauso più sincero. Mi accorgo di avere una lacrima sul ciglio dell’occhio che provvedo repentinamente ad asciugare prima che qualcuno la noti. E’ bastato così poco per commuovermi? Bé proprio poco non è. In quella danza c’erano millenni di storia, di spiritualità, di lotte, c’erano la nascita e la morte, la devozione per il proprio paese e per la divinità, la gratitudine, la gioia e la consapevolezza di essere parte di tutto questo, e c’era l’amore di un ragazzo per ciò che fa.
Non posso esprimere a Roberto il mio grazie, anche se tutti lo stanno già facendo anche per me. In fondo non ha importanza, la magia passa anche attraverso le parole non dette.

Più tardi, mentre Leda ed altri partecipano alla messa, coi rimanenti si innesca una animata discussione su religione e spirito, Dio e assoluto. L’esperienza di Giorgia con i cosiddetti ‘ricostruttori’ è stata la scintilla di partenza. Io ascolto avidamente e noto con stupore che non ho alcun bisogno di intervenire. Non voglio ‘dire la mia’. Mi piace ascoltare le motivazioni e i dubbi degli altri, riesco a sentirli con molta più chiarezza, come se indossassi un paio di occhiali da vista, ciò che era annebbiato si rischiara. Non intendo che conosca le risposte alle questioni dibattute, tutt’altro, voglio significare che il mio silenzio riesce a filtrare le parole che ascolto da pregiudizi di sorta, riesco ad apprezzare ogni sfumatura, ogni intenzione, persino ad intuire qualche parola che non riesce ad palesarsi, insomma il mio silenzio mi protegge dalla fretta della risposta, dal giudizio affrettato, dal fraintendimento volontario e allora capisco quanto sia importante aprire la porta all’ascolto dell’altro, alla voglia di capire fino in fondo ciò che chiunque, con lo strumento a volte zoppicante della parola, vuole esprimere.
Ecco il silenzio mi aiuta ad ascoltare meglio. Che grande banalità sto sperimentando!!
Però quante banalità vitali per il nostro benessere ci lasciamo sfuggire!

Ormai la giornata, e il mio silenzio, volge al termine. Dopo l’esercizio serale, e la seguente cena, il gruppo si scambia le ultime battute, prima del giusto riposo.
Domani si torna alla normalità.

DOMENICA 6 MARZO
Il sole vuole accompagnarci fino alla fine di questo weekend e non sia mai che non gli si renda omaggio. L’esercizio sul mare, tra le sue braccia tiepide è da antologia.
Un ultimo incontro in “cappelletta” dove rilascio la prima intervista del dopo silenzio e l’ultima-prima colazione che scrive la parola fine con la marmellata.
Cosa lascia un weekend di solito lo si realizza nei giorni successivi, i suoi effetti affiorano col tempo e questo non farà eccezione. Ciò che sono stato in queste 48 ore sono certo mi accompagnerà nei prossimi giorni, e lavorerà i miei piani sottili per darmi chissà quali frutti, ma forse, per la prima volta posso affermare già da subito di avere imparato qualcosa che non avrei potuto acquisire in nessun altro modo.
E siccome ho la fortuna di avere un gruppo alle spalle senza il quale certe esperienze non potrei neanche immaginarle, voglio ringraziarlo.
Grazie a Leda, Pino, Michele, Giorgia, Rosy, Annamaria, Luciano, Dida, Gianna, Giovanni, Maria, Cristina, Marina, Valentina ed Eleonora.
E naturalmente, a messer lo Yoga.

MARCO