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Quando si dice un uomo vero

Testata: La Repubblica
Data: 26 settembre 2009
Pagina: 55
Autore: Vito Mancuso
Titolo: «Quando si dice un uomo vero»

Anticipiamo parte dell'intervento che Vito Mancuso pronuncerà domenica, giornata di chiusura di «Torino spiritualità», la rassegna iniziata mercoledì e intitolata «Dis-inganno. Dietro ciò che appare ciò che è».

Già con le opere d'arte l'autenticità è una questione complessa: quel crocifisso sarà veramente di Michelangelo? quei due brani saranno davvero inediti mozartiani? Spesso si accendono discussioni infuocate, ma quasi mai si riesce a stabilire chi ha ragione. Un'eccezione abbastanza spassosa si ebbe a metà degli anni Ottanta a proposito di alcune sculture a forma di teste umane ritrovate a Livorno e presto attribuite a Modigliani dai maggiori critici, e che invece poi si scoprì essere una burla ottimamente congegnata. Ma se è complessa per gli oggetti, tanto più la questione dell'autenticità lo è per la vita, notoriamente ben poco oggettivabile. A questo proposito io mi chiedo se esista, e quale sia, il criterio dell'autenticità di una vita, e spiego ciò che intendo con una celebre pagina di Shakespeare.

La battaglia di Filippi si è conclusa, i capi dei congiurati sono morti, l'assassinio di Cesare è finalmente vendicato. Nel vedere il cadavere di Bruto però, Antonio dichiara: «Gli elementi erano così composti in lui che la natura potrebbe levarsi e proclamare a tutto il mondo: Questo era un uomo!" ( Giulio Cesare, 5, 5). Antonio aveva mosso guerra a Bruto fin dal primo istante, ma ora di fronte al suo cadavere sente salire dentro di sé un irresistibile senso di rispetto: «Questo era un uomo!».

Io mi chiedo quale sia quella qualità che, persino di fronte a un nemico mortale, ci fa sentire in presenza di "un uomo", mentre in assenza della quale, anche con un amico o un alleato, avvertiamo di essere in presenza di uno spirito servile. Mi chiedo che cosa fa di un uomo "un vero uomo". È questo che intendo con "autenticità della vita", ed è questo l'oggetto che vado a indagare (...). L'autenticità è una dimensione sintetica dell'esistenza, uno di quei rari concetti che può servire da sigla complessiva per definire un uomo per quello che veramente è, al di là di quello che possiede, di quello che sa, e anche al di là di quello che compie. Che un uomo non sia autentico grazie alle sue ricchezze o alla sua erudizione, penso non ci sia bisogno di rimarcare. Ma io aggiungo che non bastano neppure le azioni, perché persino dietro atti eroici e gesti sublimi di carità ci può essere solo narcisismo. Lo sottolineava già san Paolo: «Se anche dessi in cibo tutti i miei beni ma non avessi l'amore, a nulla mi servirebbe».

Io ritengo che nella pienezza del concetto di autenticità siano presenti due dimensioni, una soggettiva e una oggettiva. La prima riguarda il rapporto del soggetto con se stesso e si traduce in genuinità, spontaneità, schiettezza. La seconda riguarda il rapporto del soggetto con gli altri e si traduce in sincerità, onestà, fedeltà, giustizia.

Mi soffermo anzitutto sul livello soggettivo dell'autenticità. Dato che ogni essere umano è in se stesso interiorità ed esteriorità, la situazione di autenticità soggettiva si ha quando tra l'esteriorità (le parole che uno dice, le azioni che uno compie) e l'interiorità (le intenzioni che lo animano, i sentimenti che prova davvero) c'è armonia. Un uomo così dice quello che pensa, compie quello che crede, sente davvero quello che manifesta. Ognuno di noi infatti è abitato da una duplice melodia: una melodia interiore che risuona da sé quasi in modo necessario («per l'uomo il carattere è il suo destino», diceva Eraclito) e una melodia esteriore che eseguiamo consapevolmente in relazione agli altri con le parole, le azioni, i sorrisi, i silenzi e le altre consuete cerimonie quotidiane. Ognuno contiene una sorta di polifonia: da un lato il canto fermo o basso continuo rappresentato dalla musica che scaturisce dal temperamento personale indipendentemente dalla volontà, e dall'altro il motivo dominante, più acuto, più elaborato, dato dalle azioni e dalle parole volontarie, che si sovrappone al basso continuo del temperamento. Quando tra i due motivi c'è armonia, siamo in presenza di una persona soggettivamente autentica, e questo è ciò che io definisco il primo livello dell'autenticità umana.

Esso però non basta perché esiste una seconda dimensione della vita autentica, che concerne la qualità oggettiva della prospettiva per la quale si vive. Un uomo infatti al proprio interno può essere del tutto autentico, ma tuttavia vivere per un ideale sbagliato. Il caso esemplare è il fanatismo, politico o religioso. Abbiamo a che fare con veri e propri asceti, nessun dubbio al riguardo, ma asceti dell'idiozia, talora persino del crimine. È probabile che Osama Bin Laden (una specie di Bruto alla potenza) sia soggettivamente del tutto autentico, così fedele al suo ideale da rischiare ogni giorno la vita, per di più senza festini, né ville, né escort, solo un mitra e una copia del Corano. Forse anche Hitler era così soggettivamente irreprensibile, forse anche Lenin e Stalin, forse anche i brigatisti rossi e neri. Forse anche Torquemada, il fondatore dell'Inquisizione spagnola, era soggettivamente autentico, e forse lo era anche san Roberto Bellarmino, cardinale e dottore della Chiesa, che fece bruciare vivo Giordano Bruno perché non aveva abiurato e anni dopo risparmiò l'anziano Galileo perché invece aveva abiurato, e forse lo è anche l'attuale vescovo di Recife in Brasile che ha scomunicato la madre di una bambina di 9 anni per aver autorizzato l'aborto sulla figlia in pericolo di vita perché incinta (di due gemelli) in seguito alle violenze del patrigno. Tutti uomini soggettivamente autentici. Ma l'ideale a cui un uomo è fedele può essere distruttivo per gli altri e una prigione per lui. Occorre quindi un secondo livello per una vita realmente autentica, il livello che concerne la qualità dell'ideale che attrae e modella l'energia vitale. A questo riguardo annotava Marco Aurelio: «Ognuno vale tanto quanto le cose a cui si interessa». Parole corrispondenti a quelle del suo quasi contemporaneo Gesù di Nazaret: «Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore».

A questo secondo livello il concetto di autenticità rimanda a una specie di permanente tensione di tutto noi stessi verso la verità o (che è lo stesso alla luce del concetto relazionale di verità) verso la giustizia. Si tratta di una tensione che conduce il soggetto a uscire da sé superando i suoi interessi immediati, compresi quelli del partito o movimento o chiesa in cui milita, a cui non sacrificherà mai la sua onestà intellettuale, a cui non venderà mai la sua anima. La fedeltà alla verità e alla giustizia è per lui l'unica stella polare. In questa uscita da sé il soggetto però non si perde, ma si ritrova a un livello più profondo, e si compie divenendo un vero uomo. È la vita autentica. Il vero uomo è colui che ha trovato qualcosa più grande di sé per cui vivere, ma che proprio per questo acquisisce un timbro personale inconfondibile. Si consegna a qualcosa più grande, ma lungi dall'alienarsi diviene veramente se stesso, acquisendo una peculiarità personale per descrivere la quale ricorro ancora una volta a Shakespeare: «Dammi quell'uomo che non è schiavo della passione, ed io lo porterò nell'intimo del mio cuore, sì, nel cuore del mio cuore» ( Amleto, 3,2).