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Perché l'uomo ha bisogno di credere negli angeli
Testata: La Repubblica
Data: 17 luglio 2009
Pagina: 1
Autore: Vito Mancuso
Titolo: «Perché l'uomo ha bisogno di credere negli angeli»
IL CELEBRE teologo tedesco Rudolf Bultmann scriveva qualche decennio fa che "non ci si può servire della luce elettrica e della radio, o far ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinici, e nello stesso tempo credere nel mondo degli spiriti proposto dal Nuovo Testamento". Era il 1941.
Consultando la più grande libreria al mondo che è amazon.com, si scopre al contrario che oggi, quando facciamo uso di ben altro oltre alla radio e all'elettricità, i titoli che riguardano un tipo particolare di spiriti quali gli angeli ammontano a una quantità impressionante (431.556), quasi il doppio rispetto a quelli sull'elettricità (267.520). Certo, tra i libri in vendita se ne trovano molti che hanno tutta l'aria di un inno all'irrazionalità ( Nelle braccia degli angeli, Come udire il tuo angelo, Guarire con gli angeli, Camminare con gli angeli, I messaggi del tuo angelo ), ma il fenomeno angelico non è riducibile a ciò. Basti considerare che non esiste civiltà e tradizione religiosa che non ne parli, che i più grandi filosofi dell'antichità ne danno testimonianza (il caso più noto è Socrate con il suo daimonion a mo' di voce interiore).
Anche la filosofia contemporanea non cessa di produrre pensiero al riguardo, come Massimo Cacciari con L'angelo necessario (Adelphi 1986) e come di recente la filosofa francese Catherine Chalier, allieva di Lévinas e docente all'Università di Paris-X-Nanterre con Angeli e uomini (traduzione italiana di Vanna Lucattini Vogelmann, a cura di Orietta Ombrosi, Giuntina 2009). Catherine Chalier mette in evidenza il fatto che la Bibbia, elencando le cose create da Dio, non nomina gli angeli (pure mostrandoli in azione in altri passi). Come mai? È un interrogativo che ha prodotto le più svariate risposte. A mio avviso è perché la Bibbia non intende dare un insegnamento diretto sull'esistenza degli angeli, ma intende limitarsi a educare a una lettura del reale che sappia andare al di là della sola dimensione visibile.
Per la dottrina cattolica l'esistenza degli angeli è un dogma di fede, sancito dai concili Lateranense IV e Vaticano I e ribadito dal Catechismo all'articolo 328. Secondo l'angelologia di Dionigi Areopagita e di Tommaso d'Aquino (quest'ultimo designato doctor angelicus dalla tradizione) esistono nove cori angelici, in ordine gerarchico decrescente: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli. Stando alla Bibbia però si può anche non credere all'esistenza degli angeli in quanto puri spiriti dotati di personalità autonoma. L'elemento decisivo per essa è un altro: è la non riducibilità del reale alla dimensione visibile, è l'angelicità dell'essere, cioè la possibilità di alcune esperienze o cose o persone di essere messaggere di un mondo più ampio rispetto a quello visibile. Non un altro mondo, ma questo stesso mondo, colto però in maniera più profonda.
Pavel Florenskij parlava della "profondità del mondo, raggiungibile solo con una retta disposizione dell'anima", e allo stesso modo Catherine Chalier rimanda a "un surplus inesauribile di bellezza e di senso che fa appello all'intelligenza e ne rinnova il desiderio". Nella figura dell'angelo è in gioco l'ontologia del reale, la proprietà delle cose di rimandare alla profondità dell'invisibile. "L'essenziale è invisibile agli occhi", insegnava la volpe al piccolo principe, aggiungendo "non si vede bene che col cuore". È secondario che Saint-Exupery fa parlare una volpe, mentre la Bibbia e il Corano mettono in scena gli angeli (del resto già secondo Mosè Maimonide gli animali e persino gli elementi naturali possono avere una dimensione angelica, si veda Guida dei perplessi II, 6). Decisivo è dove si pone il vero centro dell'essere, l'essenziale: se nella materia o in una dimensione che la trascende e che si usa chiamare "spirito". Il discorso sugli angeli prende senso, uscendo dal Kitsch che spesso ne pervade i discorsi, solo nella misura in cui si sa parlare dello spirito e del fenomeno concreto per esprimere il quale tale concetto è sorto. Il fenomeno alla base del concetto di spirito è la libertà, la libertà di cui l'uomo gode rispetto alla materia. L'uomo è materia, ma affermarne la libertà significa ritenere che l'uomo non è riducibile alla materia, che può agire e non solo re-agire a degli istinti. L'angelo è un simbolo che esprime la libertà dell'uomo rispetto alla materia, ovvero lo spirito. Libertà e spirito infatti rimandano al medesimo fenomeno: lo spirito lo nomina nella dimensione ontologica, la libertà nella dimensione operativa. E come la libertà si può determinare per il bene o per il male, allo stesso modo lo spirito: e così, oltre agli angeli buoni, la tradizione conosce anche gli angeli cattivi e ribelli, i demoni, il cui capo è "il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato Diavolo e il Satana che seduce tutta la terra abitata" (Apocalisse 12,9). Lo spirito-libertà è invisibile, ma l'invisibilità non impedisce che talora esso venga avvertito dalla parte più alta della mente (l'apex mentis), dove la conoscenza legata ai sensi si lega con la conoscenza che procede dalla pura ragione in un composto non dimostrabile more geometrico ma ugualmente denso di significato, anzi talora così denso di significato da riempire per intero la personalità, in una specie di sublime emozione dell'intelligenza .
Spinoza nell'Etica parla al riguardo di "terzo occhio". Esiste una conoscenza sensibile (primo occhio) ed esiste una conoscenza della pura ragione (secondo occhio), ma è possibile una conoscenza più alta, che procede da un occhio che materialmente l'uomo non ha, ma che spiritualmente può esercitare. La conoscenza intuitiva che Tommaso d'Aquino attribuisce agli angeli è il terzo occhio di cui parla Spinoza. A volte capita di giungere a conoscere (una persona, un'opera d'arte, una teoria scientifica) come d'incanto, senza mediazione, senza sforzo intellettuale, con una facoltà superiore all'intelletto, che se non può agire senza la sensibilità e l'intelletto, non per questo è riducibile a loro. È il terzo occhio, è la conoscenza penetrante, acutissima, che piove dall'alto, e che i grandi conoscitori del fenomeno umano hanno saputo descrivere.
Perorare lo spazio riservato all'invisibile nella nostra società è uno dei compiti che intende perseguire il bel libro di Catherine Chalier. Il pericolo che stiamo correndo infatti non è piccolo: in una società che non dà credito all'invisibile non si possono dare le condizioni mentali per parlare fondatamente di quei valori essenziali che la tradizione metafisica denomina "trascendentali", ossia tali da trascendere la sfera immanente dell'essere ma di cui l'immanenza ha una necessità insopprimibile. Senza fiducia nell'invisibile (sia esso il daimonion di Socrate, il vento leggero del profeta Elia, lo spirito di Hegel) si finisce inesorabilmente per parlare solo di legalità e non più di giustizia, solo di fascino e non più di bellezza, solo di utilità e non più di bene, solo di esattezza e non più di verità.
L'angelo è il nome che la mente ha assegnato a ciò che ha il potere di rivelare una dimensione segreta dell'essere, non disponibile, non commerciabile, che si coglie solo ritraendosi in se stessi perché esiste primariamente lì, nella più intima interiorità, e che però dà forza, coraggio e serenità per agire con spirito nuovo sulla realtà del mondo. Il 27 giugno questo giornale riportava le parole di un iraniano che aveva ascoltato Joan Baez cantare We shall overcome nella sua lingua: "Non ho potuto evitare di piangere quando ha cantato nella mia lingua. Ho sempre amato Joan Baez, e dopo averla vista così, penso che sia un angelo". Non è retorica. Il termine angelo dice la capacità delle cose e delle persone di essere messaggi di qualcosa di più bello e di più giusto. È l'angelicità del reale. Questa dimensione esiste, e se gli uomini da sempre hanno parlato e continuano a parlare di angeli è perché fanno esperienza della profondità dell'essere. Fino a quando questo avverrà, c'è la speranza che il mondo non si riduca a un grande centro commerciale.
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