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Amitav Ghost. India, terra di orrore e di bellezza.

Testata: La Repubblica
Data: 12 settembre 2008
Pagina: 44
Autore: Irene Bignardi
Titolo: «Amitav Ghost. India, terra di orrore e di bellezza.»
 
È il primo volume di una trilogia, o almeno così ha annunciato il suo autore, Amitav Ghosh, una delle voci più originali e importanti della letteratura indiana di lingua inglese, l' autore (andando all' indietro) di Il palazzo degli specchi, Le linee d' ombra, Il Cromosoma Calcutta, Lo schiavo del manoscritto. Ma forse, chissà, confessa lo stesso Amitav Ghosh, potrà essere ancora diverso, di meno, di più. Certo, c' è nel suo progetto l' ambizione di una grande storia dell' India coloniale, delle sue radici, della sua gente, delle sue lingue. Per ora c' è questo volume (il secondo è annunciato per il 2010), Mare di papaveri (Neri Pozza, pagg. 543, euro 18,50) che arriva nella formidabile e si immagina faticosissima traduzione di Anna Nadotti e Norman Gobetti e che, è stato annunciato ieri, è candidato al Booker Prize 2008. Cinquecento pagine di terra e di mare, di bellezza e di orrori, di splendori e di povertà, di dolcezze e di durezze, di amori e di inimicizie. Un libro su quell' ossimoro esistenziale che è l' India, terra di estremi e di contrasti come nessun' altra, colta qui in un momento di transizione e di trasformazione come la metà dell' Ottocento e nella sua realtà più complessa e affascinante quale è Calcutta immediatamente alla vigilia dei primi moti insurrezionali contro il dominio coloniale del Raj britannico. Ghosh costruisce una fitta trama di personaggi e di situazioni che fa confluire tutti nello stesso luogo. In un microcosmo che rappresenta la società indiana ecco la bella e poverissima vedova Deeti, strappata alla pira. Il giovane ufficiale di marina Zachary, un nero nato libero che sembra un bianco ma ha tutto l' orgoglio della sua razza. Ecco Kalua, un gigante di bassa casta e di grande cuore. La graziosa Paulette, una ragazza francese impoverita e ribelle. Il suo amico d' infanzia Jodu. Un mercante inglese di opaca moralità, Benjamin Burnham. Il suo agente bengalese, Baboo Nob Kissin. Raha Neel Rattan, un aristocratico di Calcutta che si è rovinato con la sua indifferenza alle cose mondo, precipitando da una situazione di assoluto privilegio alla condizione di galeotto. Tutti su una nave, la Ibis, che fa rotta sull' Oceano Indiano verso le Mauritius, con un turbolento e tragico carico umano di marinai, prigionieri, povera gente, lingue e di costumi, storie drammatiche e di violenza, passioni e di condizioni umane diversissime e contrastanti. E a questo punto, ancora in navigazione, come in un grande feuilleton dell' Ottocento, Ghosh ci lascia, con il fiato in sospeso. Il resto verrà. «Quando ho scritto Il palazzo degli specchi ho cominciato a pensare che avrei voluto raccontare anche qualcosa sulle migrazioni indiane, che sono state un fenomeno importantissimo a partire dalla metà dell' Ottocento. Ma, anche se Il palazzo degli specchi era un librone, lo spazio non era sufficiente per esporre la storia come avrei voluto. E anche quando mi sono messo a scrivere Mare di papaveri ho sentito che un solo libro non sarebbe bastato. E forse neanche due o tre. E così, come i miei personaggi, mi sono imbarcato in un' avventura che per il momento non so dove mi porterà», racconta Amitav Ghosh. Per costruire il suo nuovo libro ha visitato un numero incalcolabile di archivi, ha consultato libri, ha studiato lingue e costumi, ha lavorato in molte diverse direzioni. Che però lo portavano tutte, come la sua Ibis, verso le isole Mauritius, quelle che sono state la prima meta delle migrazioni indiane. «Le ricerche per la preparazione del libro sono state la parte più facile del mio lavoro. Può sembrare che alle sue spalle ci siano ricerche folli solo perché le vicende che racconto sono molte inconsuete, e raccontano la storia dell' India da un punto di vista inedito». Una degli aspetti di questa storia che Ghosh ha appreso e studiato in corso d' opera è quello delle lingue, ed è anche l' aspetto di funambolismo linguistico che merita un plauso per i traduttori - e crea qualche problema di adattamento al lettore. Perché in questo avvincente romanzo, che in inglese si chiamerebbe un «page turner» - uno di quei libri che difficilmente puoi mettere giù, per come l' autore intreccia le storie con abilità romanzesca, per come costringe il lettore a proseguire nella lettura per scoprire di più sui cento fili narrativi che portano avanti la storia dei suoi personaggi - la multiculturalità dell' India del diciannovesimo secolo passa attraverso una babele linguistica: l' urdu, l' hindi, il beengalese, l' inglese, anzi, «gli» inglesi, moltiplicati nei diversi aspetti che prende a seconda delle classi sociali e dell' origine etnica dei personaggi, e poi il pidgin, il lascari, la lingua che parlavano i marinai a bordo delle navi che incrociavano nell' Oceano Indiano, e lo zubben, quella che nel libro viene definita» la sfavillante lingua d' Oriente, solo una spruzzatina di parole negre mescolate con un po' di oscenità» - tutti mescolati in un fascinoso calderone espressivo. «La mia ricerca mi ha portato in direzioni inattese. Per esempio, ho scoperto per caso, sfogliando il catalogo di una biblioteca, quando insegnavo a Harvard, un vecchio dizionario della lingua lascari. Una lingua di cui non si sa molto, quella che parlavano i marinai a bordo delle navi, e che nessuno più ricordava. Ne inseguivo da un pezzo le tracce. Ed eccola lì. E anche la lingua lascari è andata a comporre il quadro del carattere multilingue dell' India di quegli anni». È dunque la lingua - o la babele delle lingue - al centro di questo straordinario romanzo. «Non puoi scrivere un libro su quel mondo senza provare a dare la sensazione di come la comunicazione fosse difficile e complessa. Scrivere in una sola lingua in questo caso sarebbe artificioso. Io volevo far sentire la natura complessa e difficile di quella realtà». La Ibis, con il suo composito panorama umano, prenderà una delle due rotte principali che seguivano allora le navi in partenza da Calcutta, quelle che andavano cariche di mano d' opera indiana verso le piantagoni di canna da zucchero delle Mauritius, verso le Fiji, verso Trinidad, oppure in direzione della Cina, con il carico dell' oppio coltivato nel «mare di papaveri» bengalese Ma dove ci porterà poi? Ce lo può anticipare? «Vorrei saperlo anch' io» confessa Amitav Ghosh. «Ho i miei piani, certo, ma è come se fossi in mare, di notte, e vedessi delle luci lontane, e non so cosa sono. Il piacere di scrivere un libro e' nel processo della scrittura. E questo piacere potrebbe portarmi lontano dal mio piano iniziale».