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Il Tibet senza Dalai Lama

Testata: La Repubblica
Data
: 22 novembre 2010
Pagina: 31
Autore: Gianpaolo Visetti
Titolo: «Il Tibet senza Dalai Lama»

Tenzin Gyatso lo ha detto con il suo famoso sorriso, come di sfuggita, ma l'annuncio-choc del suo «prossimo pensionamento» ha fatto il giro del mondo e la tensione in Tibet, a Pechino e a Dharamsala, sede del governo in esilio nel nord dell'India, è tornata a salire.

Il quattordicesimo Dalai Lama, 75 anni e più di un acciacco, era ieri ai microfoni della tivù indiana Cnn-Ibn. «Credo che mi ritirerò entro sei mesi - ha detto - e ho già anticipato questo mio desiderio alla leadership politica del mio movimento». La guida spirituale del "lamaismo" tibetano, premio Nobel per la pace nel 1989, ha precisato che «una decisione sarà presa solo dopo essermi consultato con tutti i dirigenti e con il parlamento in esilio nell'Himachal Pradesh».

Davanti alla sorpresa dei giornalisti, che non si aspettavano una conferma pubblica di indiscrezioni circolate nelle ultime settimane, il Dalai Lama ha cercato di minimizzare. «Dal 2001- ha aggiunto - sono già un quasi pensionato. Le decisioni più importanti vengono prese da tutta la leadership e affinché questa forma di democrazia possa funzionare al meglio preferirei non essere più coinvolto in alcun modo nell'attività politica».

Già nel 2007 il suo portavoce, Chime Rizging, aveva annunciato un «prossimo ritiro». Un anno più tardi lo stesso Dalai Lama, scosso dalle montanti divisioni tra i tibetani, aveva detto invece che «il momento non è ancora arrivato». Sempre nel 2008, nel pieno della tragica repressione cinese contro i monasteri in rivolta, era tornato ad offrire il suo ruolo pur di «far cessare la violenza». «Sogno ogni giorno di non svolgere più una marcata funzione spirituale - aveva detto infine il 6 luglio scorso, festeggiando il compleanno - e di ritirarmi ad una semplice vita monastica, nella mia patria». Tenzin Gyatso sarebbe il primo Dalai Lama della storia a non morire in carica. È stato anche il più giovane a salire sul trono del Potala, il palazzo tempio di Lhasa in cui entrò a due anni come Buddha vivente e di cui prese il comando non ancora quindicenne. Era il 1950 e il regno "dell'eterna saggezza" sarebbe durato poco. Nel 1959 la nuova Cina comunista di Mao Zedong invase il Tibet, represse nel sangue l'insurrezione dei monaci e costrinse alla fuga in India il Dalai Lama e oltre ventimila compatrioti. Da quel giorno, in cui il Tibet fu tradito e abbandonato dalla comunità internazionale, Tenzin Gyatso non ha più fatto ritorno nella provincia dell'Amdo, nel Qinghai cinese, dove è nato un piccolo villaggio di contadini. Oltre mezzo secolo di esilio, trascorso a lottare pacificamente per l'indipendenza tibetana prima, per «un'autonomia spinta» fino ad oggi, hanno logorato uno dei simboli globali delle battaglie contemporanee per la libertà.

È chiaro però che il Dalai Lama, pur sofferente di calcoli, diabete e disfunzioni cardiache, non può «andare in pensione» e che fino a quando sarà in vita resterà il punto di riferimento religioso e politico di tutti i tibetani. L'annuncio di un'imminente «uscita di scena anticipata» è piuttosto la mossa estrema su una scacchiera che vede Pechino in posizione sempre più di forza. Il primo marzo scorso il Panchem Lama, scelto dal governo cinese e considerato il successore di Tenzin Gyatso, è stato eletto nell'Assemblea consultiva del popolo. Gyaltsen Norbu, 20 anni, non è riconosciuto dalla diaspora ma con Pechino alle spalle si prepara a guidare il Tibet definitivamente nelle braccia della Cina, togliendo peso al governo di Dharamsala. Il Panchem Lama bambino, individuato dai monaci fedeli al Dalai Lama, è stato arrestato alcuni anni fa e da allora è scomparso, uscendo dai giochi per la successione. Ai primi di luglio il governo cinese aveva allora approvato la nomina di un bambino di quattro anni a «Buddha vivente», violando l'antico rituale dei lama tibetani per opporre la sua guida a quella eventualmente educata in segreto dagli esuli. Pechino non aspettava così che la morte di Tenzin Gyatso per dichiarare chiusa la partita, insediare il suo nuovo Dalai Lama e completare la "cinesizzazione" forzata dell'Himalaya. Fino a ieri, perché nell'ipotesi di un «pensionamento» saltano tutte le successioni automatiche. Gli è stato chiesto se possa succedergli una donna, e il Dalai Lama ha risposto: «Io ci credo, la mia prossima reincarnazione ha aggiunto - potrebbe essere proprio una donna, magari molto attraente». Comunque, la scelta della prossima guida dei buddisti di Lhasa spetterebbe ai leader del parlamento in esilio e tra i favoriti c'è il Karmapa Lama, 26 anni, braccio destro dell'attuale Dalai Lama. Per questo da ieri Lhasa, Pechino e Dharamsala sono in fibrillazione. L'annuncio del «ritiro a vita privata» di Tenzin Gyatso accelera il passaggio e rimette drammaticamente in gioco il destino del Tibet. E la Cina, irritata dal Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo, questa volta potrebbe decidere di non restare più ad aspettare.