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Barbari si diventa. Lo straniero, la cultura, la legge.

Testata: La Repubblica
Data: 12 settembre 2008
Pagina: 43
Autore: Fabio Gambaro
Titolo: «Barbari si diventa. Lo straniero, la cultura, la legge.»
 
«Sono uno straniero. Vivo in un paese diverso da quello in cui sono nato e da sempre sono sensibile al problema delle differenze di cultura. La relazione tra unicità e diversità è inerente alla condizione umana, va quindi continuamente ripensata per combattere la paura che trasforma qualsiasi straniero in una fonte di pericolo». Con queste premesse, Tzvetan Todorov torna ad affrontare uno dei temi che da sempre gli sono più cari, quello delle relazioni tra le culture, a cui in passato ha dedicato libri importantissimi come La conquista dell' America, Noi e gli altri e Le morali della storia (Einaudi). In Italia esce in questi giorni un suo vecchio saggio, Teorie del simbolo (Garzanti), e in Francia sta per uscire La peur des barbares (Robert Laffont pagg. 310, euro 20), un denso lavoro in cui lo studioso francese di origine bulgara - oltre a polemizzare con Huntington e i suoi numerosi seguaci, i quali immaginano un Occidente assediato dalla minaccia islamica - analizza e discute la paura della diversità che attanaglia la nostra società. «Oggi il problema della relazione tra le culture è diventato centrale», spiega Todorov. «Il dibattito ideologico tra destra e sinistra si è spento, lasciando spazio alla problematica dello scontro tra le culture. La mondializzazione rimette in discussione la tradizionale supremazia dell' Occidente, mentre le popolazioni del pianeta comunicano tra loro molto più facilmente che in passato. La rivoluzione delle comunicazioni e dei trasporti moltiplica i contatti tra le culture. Purtroppo però, più che essere considerati una fonte di arricchimento reciproco, tali contatti vengono vissuti dal mondo occidentale come una minaccia che genera paura. La paura dei barbari».
Chi sarebbero i barbari?
«C' è chi pensa che la barbarie esista solo nello sguardo di chi considera tale l' altro perché non lo capisce. Per il mondo occidentale, i barbari sarebbero gli stranieri, coloro che non conoscono la nostra civiltà e la nostra cultura. Da questo punto di vista, la civiltà coinciderebbe con la nostra tradizione culturale. Sappiamo tutti però che persone che conoscevano benissimo la nostra cultura hanno potuto comportarsi come barbari. Ciò dimostra che barbarie e civiltà non possono essere definite attraverso l' assenza o la presenza di una cultura».
Quindi la barbarie non esiste?
«La barbarie esiste, ma per definirla, al posto di un criterio culturale, è bene utilizzare la nostra relazione con gli altri. È civilizzato chi riconosce la piena umanità degli altri e quindi li tratta nella stessa maniera e con la stessa attenzione che vorrebbe per sé. È un barbaro invece chiunque rifiuti di riconoscere agli altri la piena appartenenza all' umanità, considerandoli inferiori o infliggendo loro trattamenti disumani. La barbarie trascende le culture, non dipendente dall' educazione o dalle conoscenze. Non è una categoria culturale, ma una categoria morale. Le culture, invece, sono categorie descrittive senza alcun valore morale. Il fatto che io parli il bulgaro e lei l' italiano non implica alcun valore particolare né per me né per lei. Non è nella cultura che risiede la civiltà, anche perché nessuna cultura protegge definitivamente dalla barbarie. Così, è barbaro l' islamista che compie un attentato terroristico, ma anche l' esercito americano che uccide i civili o tortura i prigionieri. Purtroppo però larga parte dell' opinione pubblica occidentale continua a considerare barbari coloro che non possiedono la nostra cultura».
Soprattutto chi proviene dal mondo musulmano, nei confronti del quale prevale un sentimento di paura...
«La paura dell' islam è oggi un sentimento dominante. Essa è ampiamente diffusa dai media, ma anche da opere come quelle di Oriana Fallaci. A volte la paura resta sullo sfondo, altre volte si manifesta apertamente, tanto che molti governi la sfruttano per governare. A cominciare dagli Stati Uniti. Certo, gli americani hanno subito un attacco terroristico senza precedenti, ma l' amministrazione Bush ha poi sfruttato la paura dell' islam per mantenere la popolazione in uno stato di stupore acritico e far accettare più facilmente le sue decisioni. Purtroppo la paura è sempre cattiva consigliera, tanto che la paura dei barbari rischia di trasformarci in barbari, spingendoci all' intolleranza e alla guerra. Oggi, per la prima volta nella storia delle democrazie occidentali, la tortura è diventata un atto lecito. E la tortura è un atto barbarico».
Il primo a teorizzare lo scontro tra il mondo occidentale e quello islamico è stato Samuel Huntington. Cosa pensa della sua tesi?
«Per lui, la guerra fredda costituiva lo stato normale delle relazioni internazionali. Quindi, sparito il blocco comunista (anche se oggi dovremmo domandarci se il vecchio nemico sia veramente scomparso), l' Occidente si è trovato un nuovo nemico nel mondo islamico. Si tratta di una visione manichea e semplicistica che considera il mondo musulmano come un unico blocco compatto, dimenticando che le culture non sono entità che si tramandano come essenze platoniche. Le culture non sono blocchi monolitici immutabili nel tempo, sono costruzioni in divenire permanente, realtà meticce al cui interno agiscono numerose sottoculture che si trasformano di continuo in funzione delle loro relazioni e dei contatti con le culture esterne. Parlare di un' unica cultura islamica non ha senso».
Dove nasce la diffidenza nei confronti del mondo musulmano?
«Sono diversi da noi, non li capiamo e allora li consideriamo barbari animati esclusivamente da intenzioni ostili. Non ho alcuna simpatia per gli islamisti, ma è un' assurdità pensare che oltre un miliardo di persone siano esclusivamente determinate dal loro Dna culturale e religioso. Come tutti, i musulmani si comportano in base a una quantità di motivazioni, personali, psicologiche, politiche, sociali, ecc. In Occidente, però continuiamo a immaginarci che essi siano esclusivamente mossi dal Corano. Inoltre, non tutti i musulmani sono islamisti e non tutti gli islamisti sono terroristi. La semplificazione nei confronti del mondo musulmano è profondamente ingiusta, frutto di una pigrizia mentale che si accontenta di facili schematismi. Al manicheismo di questa percezione occorre contrapporre la complessità di un mondo ricco di sfumature. Occorre sfuggire al politicamente corretto ma anche al politicamente abietto».
È per questo che lei cerca di articolare relativismo e universalismo, evitando gli eccessi da entrambe le parti?
«Siamo diversi, ma siamo anche tutti umani. I due termini quindi vanno costantemente articolati. Come ci hanno insegnato gli illuministi, dobbiamo riconoscere l' universalità della condizione umana ma al contempo la varietà delle differenze culturali. C' è chi sostiene troppo semplicisticamente che l' illuminismo abbia segnato il trionfo dell' unità della civiltà. In realtà, l' illuminismo riconosce l' universalità della civiltà, ma sempre all' interno della pluralità delle culture».
Sul piano concreto della relazione tra le diverse comunità, lei ipotizza una soluzione pragmatica, vale a dire che la legge prevalga sempre sui costumi. È così?
«Difendere il confronto e il dialogo tra le culture non implica avere una visione ingenua della realtà. So benissimo che i problemi esistono. Ma più che occuparsi delle identità, occorre affrontare le situazioni specifiche. Le identità non sono barbariche, le situazioni invece sì. Quando, ad esempio, ci troviamo di fronte ai crimini d' onore, all' escissione, alle punizioni fisiche, ecc., occorre fare appello alla legge. Questi crimini riguardano spesso le minoranze musulmane, le quali, in nome di un' interpretazione abusiva del Corano, più patriarcale che musulmana, ledono i diritti delle donne. Nei confronti di tali comportamenti, non si deve mostrare alcuna indulgenza. Per questo è necessario ricorrere alla legge, ma anche aiutare le minoranze a conoscere i codici, la lingua e le regole della vita collettiva».
Chiedere di riconoscere la legge significa imporre a tutti un' unica cultura?
«Assolutamente no. Leggi e cultura vanno separate. Anche se in Occidente viviamo in nazioni che tendenzialmente hanno sempre fatto coincidere lo Stato con la cultura, non credo che tutti i francesi o tutti gli italiani abbiano la stessa cultura. Insomma, occorre accettare le culture degli altri senza paura. Dalla pluralità, infatti, si possono trarre grandi vantaggi. E l' identità dell' Europa risiede proprio nella capacità di aver elaborato regole comuni per gestire la diversità. Una lezione che non bisogna mai dimenticare».